Ciao Ilary, l'argomento secondo me è molto complesso, e non ho soluzioni perché ci sono dentro fino al collo e non sono per niente convinta di fare le cose come andrebbero fatte: spesso qualche atteggiamento funziona ma non mi piace, oppure quello che ritengo più giusto e rispettoso non sortisce effetti. Sono anche io incasinatissima perché il pupo giorno dopo giorno (ora ha 20 mesi) mi sta tirando fuori un caratterino niente male, e tremo al pensiero dei cosiddetti "terrible twos", perché cosa ci può essere più di questo? Ti dico solo che mi trovo a rimpiangere - vergognandomene - il periodo di quando era bebè e pacioccone e tutto era più semplice e anche io mi sentivo una mamma molto più in gamba. Ma lasciamo stare gli sfoghi personali e andiamo nel dettaglio.
Arrampicarsi: la passione di mio figlio. Dopo aver constatato che tutti i nostri tentativi di impedimento, dolci o più severi, andavano a vuoto, l'abbiamo semplicemente lasciato fare, sotto la nostra supervisione. Devo dire però che in questo ci aiuta la particolare prudenza, una sorta di buonsenso istintivo, di mio figlio. Vale a dire che ci sono cose abbastanza pericolose che lo attirano ma che percepisce come tali, e non fa mai da solo. Tu sei proprio sicura che tuo figlio scenderebbe dal tavolo senza una sedia sotto? Prova a vedere che fa, ovviamente a una distanza da acchiappo al volo
Anche la sorveglianza a distanza funziona abbastanza bene: diciamo che la casa è più o meno bonificata nel senso delle sue esigenze e si muove liberamente, ma di solito sta sempre in una stanza dove siamo io o il papà, e se lo fa possiamo star certi che sta facendo qualcosa che non deve; per andare sopra c'è un cancelletto, ma se resta aperto non sale quasi mai da solo (sarà successo due o tre volte). Ho notato in generale che quando sviluppa un'ossessione per qualcosa il modo migliore per neutralizzarla è lasciargliela fare: è il caso anche dei coltelli, che abbiamo provato in tutti i modi a non dargli, ma è un po' difficile nella quotidianità non fargli vedere, quindi dopo pianti di disperata frustrazione glieli abbiamo semplicemente fatti maneggiare, mimando il male che può fare la lama (mimare il dolore funziona pure con le cose che scottano), e ora l'interesse sembra scemato, della serie "vabbè, un aggeggio da cucina come un altro".
L'interazione con altri bambini al parco: anche se con noi ha un bel caratterino, ho notato che subiva un po' i soprusi dai coetanei, ma ora sta un po' cambiando: prima se era lui a toccare le cose degli altri e questi sbraitavano lasciava perdere, e spesso non reagiva nemmeno se gli prendevano i suoi o addirittura gli strappavano la pizza o il biscotto dalle mani. Ora invece se qualcuno gli toglie qualcosa di prepotenza si incazza di brutto, se lo riprende e me lo porta perché lo metta al sicuro, ma se qualche bimbo mostra un interesse discreto per qualche suo gioco è lui che glielo offre. Comunque il capitolo parco per me è il più complesso perché sono sempre combattuta fra il desiderio di non immischiarmi e le aspettative sociali delle altre mamme. Cerco di intervenire solo se il bimbo defraudato o sua madre mi sembrano particolarmente infastiditi.
Per quel che riguarda la frustrazione in generale, anche io ne sono dispiaciuta e cerco di evitargliela quando posso, ma credo che in una certa misura sia inevitabile e che certe "crisi" siano delle piccole dolorose tappe della crescita. Tu però accenni sopra a cose che in realtà potresti concedere: perché non lo fai? Io non ho letto moltissimi libri di puericultura, però Besame Mucho di Gonzalez è davvero un bel libro e mi ha aperto gli occhi su una serie di atteggiamenti che noi mamme teniamo perché oramai socialmente acquisiti, ma che non hanno molto senso, anzi sono spesso irrispettosi. Gonzalez sottolinea l'importanza del "cedere", il famigerato "dargliela vinta". Anch'io spesso di fronte alle crisi di pianto di mio figlio, al capriccio, a volte avrei voluto cedere per farlo smettere, pensando "in fondo che succederà mai se lo lascio fare questo", ma ero frenata dal timore che da quel momento in poi lui avrebbe capito che più forte urla, più ottiene. Il libro ti fa invece riflettere sul fatto che ottenendo quello che vuole, anche con la forza delle urla e del pianto (che sono le sole argomentazioni del bimbo piccolo), il bambino sta sperimentando la sua possibilità di agire sulla realtà, di poter decidere qualcosa su cui magari gli altri non sono proprio d'accordo. Se ci riflettiamo, infatti, la parola che il bambino sente di più durante il giorno è "no", e tutto quello che fa gli viene concesso da un'autorità che sola stabilisce ciò che è lecito e ciò che non lo è. Cedendo ogni tanto su cose su cui possiamo cedere, loro aumentano la fiducia nelle proprie capacità decisionali, e non è vero che noi perdiamo autorità, o forse sì, ma vogliamo essere le autorità o le guide? Forse è meglio preferire l'autorevolezza all'autorità.
Il principio ispiratore in caso di crisi, poi, dovrebbe essere per tutti che lasciare piangere un bambino senza tentare di consolarlo è crudele. Però questo è più facile per coloro i cui figli non sono colti da "possessioni" come il mio. Nel nostro caso, a volte capita che se non sono abbastanza pronta nel distrarlo, la frustrazione raggiunge un punto di non ritorno, ed è impossibile consolarlo, anzi, ogni tentativo peggiora le cose. E così mi ritrovo, spesso anche fra gli sguardi sbigottiti della gente per strada, ad osservare mio figlio che si contorce per terra fra le urla, e ad aspettare che giunga quella nota più lamentosa che mi indica che è arrivato il momento di prenderlo in braccio, dargli un po' di baci e portarlo a fare qualcos'altro.
Aggiungo solo un'amara conclusione a questo sconfinato pippone che ho scritto: i buoni propositi sono tanti, ma di fronte a un bambino con cui alcuni giorni è motivo di conflitto qualsiasi cosa, arrivano ahimé anche i momenti in cui sono sopraffatta e mi scappa l'urlaccio...